corteo a Torino del Disability Pride con striscione in via roma
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“Nulla su di noi senza di noi”. “Non ti abbattere, abbatti le barriere”. In un clima di festa si è svolta sabato 15 aprile la prima edizione del Disability Pride a Torino.

Il corteo, molto partecipato, è partito da piazza Carlo Felice, ha percorso via Roma per approdare in Piazza Castello, dove era stato allestito un palco.
L’evento è stato promosso dalla sezione torinese dell’Associazione Luca Coscioni, in collaborazione con altre 17 realtà del territorio tra organizzazioni del terzo settore e startup e ha ottenuto il patrocinio di Città di Torino, Città Metropolitana, Regione Piemonte, Università e Politecnico di Torino. Presente il sindaco Stefano Lo Russo e l’assessore alle Politiche Sociali Jacopo Rosatelli.

I due slogan principali intonati dai manifestanti nel percorso verso Piazza Castello sintetizzano a meraviglia lo spirito di un evento che punta a innescare una rivoluzione culturale sulla percezione di ogni diversità e ad affermare la piena autodeterminazione delle persone con disabilità.  “Nulla su di noi senza di noi” è infatti un appello, purtroppo non scontato, a coinvolgere le persone con disabilità in qualsiasi progettazione, programma o scelta che li riguardi. “Non ti abbattere, abbatti le barriere” è un’esortazione rivolta alle stesse persone con disabilità perché diventino protagoniste delle loro vite e con determinazione, coraggio e creatività rivendichino ciò che gli spetta di diritto.

I punti da cui partire, verso una società davvero egualitaria, sono riassunti in un documento unitario, un Manifesto, elaborato dalla rete del Pride, che contiene rivendicazioni e proposte da rivolgere alle istituzioni e non solo, su temi quali cura e assistenza, barriere architettoniche, barriere digitali, barriere culturali, mobilità e accessibilità, cittadinanza attiva, universal design, lavoro e istruzione. Le linee guida di un percorso allo stesso tempo difficile ed entusiasmante.

Dietro alla prima edizione del Disability Pride Torino c’è un lavoro di 8 mesi, portato avanti in maniera corale da tutte le associazioni che hanno partecipato all’organizzazione. Un successo che è solo il primo passo, non un punto d’arrivo. “Ripartiremo già da domani – ha detto una delle organizzatrici del Pride, Miriam Abate – continuando il dialogo tra associazioni, istituzioni e imprese.  Abbiamo un grande lavoro da fare per abbattere le barriere architettoniche, quelle fisiche. Ne abbiamo uno enorme contro quelle che sono le barriere culturali. In primo luogo il pietismo. Noi persone con disabilità non abbiamo bisogno di preghiere e benedizioni, o di qualcuno che ci faccia i complimenti se stiamo facendo la spesa. Quello che speriamo è che parta da qui un cambiamento culturale che riguardi in primo luogo anche i media.”

Le parole chiave in questo caso sono formazione e ascolto. I due presentatori della manifestazione, Dajana Gioffrè e Marco Berton, hanno elencato ironicamente dal palco i termini inadeguati usati troppo spesso dai mezzi di comunicazione e dalla gente: affetti da disabilità, diversamente abili, handicappati, portatori di handicap, fino al “capolavoro” portatori di diversabilità. Senza parlare di definizioni come “i fragili” o “gli ultimi”. Ma il problema riguarda anche il versante opposto, per esempio dipingere un atleta con disabilità come un eroe ed il fenomeno dell’inspiration porn.

La stessa parola inclusione va superata secondo gli organizzatori del Pride. Non deve esserci una società di abili che include persone “svantaggiate”. C’è bisogno invece di coesione, condivisione, di un percorso da fare insieme. La diversità, qualsiasi diversità, come nel campo elettrico, “è una forza che genera energia”.

Molti gli interventi che si sono succeduti sul palco. Sara Lanzone si è rivolta alle istituzioni indicando alcune azioni urgenti per rendere Torino e il Piemonte più accessibili. In primo luogo che tutti i comuni piemontesi adottino il Peba, il Piano di Eliminazione delle Barriere Architettoniche e che si crei una piattaforma sulla mobilità accessibile del territorio. Di primaria importanza è il problema del difficile collegamento tra Torino e la sua area metropolitana: fondamentale creare un tavolo per migliorare la mobilità urbana, coinvolgendo i Taxi, per rendere la città più accessibile anche a livello economico.

Se uno degli obiettivi da raggiungere è normalizzare la percezione della disabilità, uno dei compiti delle persone con disabilità è raccontarsi e raccontarla. Lo fa l’influencer Marco Andriano che ironizza sui social sulle sue gioie e dolori. Non un semplice gioco ma “una grande responsabilità”, come dice dal palco di Piazza Castello, perché “chi mi segue non vede solo me ma tutta la ‘categoria’ che ha la mia stessa disabilità”. Il sogno sarebbe quello di vedere molte più persone con disabilità nel mondo della comunicazione. “Se ne vedono pochissime e quando vanno in tv sono sempre costrette a parlare della loro disabilità”.

Protagoniste di questa prima edizione del Disability Pride sono state anche le startup. Torino può vantare alcune esperienze davvero innovative. La tematica della cultura e del turismo accessibile è stata affrontata da noi di Cityfriend, da FreeGoo, Travelin e WillEasy. L’accesso al materiale culturale, all’esperienza del viaggio e della “bellezza” non solo è un diritto sancito dalla legge e dalla convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità, ma è essenziale per il miglioramento della qualità della vita e la crescita delle persone.
Altre startup si avvalgono della tecnologia per aumentare l’accessibilità e garantire i diritti. Stiamo parlando per esempio di WeGald, che ha sviluppato una app collaborativa che permette di mappare i luoghi aperti al pubblico per descriverne il grado di accessibilità. AccessiWay, uno degli sponsor del Pride insieme a Exclusive Network e Associazione Luca Coscioni, che offre soluzioni per rendere accessibile il web e che da pochi giorni ha lanciato la propria Accademy. “Bisogna insegnare a pensare accessibile – ha detto il Ceo della startup Edoardo Arnello -. Da quando siamo partiti abbiamo aiutato nel percorso verso l’accessibilità digitale circa 600 tra aziende e pubbliche amministrazioni. Il mondo non è indifferente. C’è una buona risposta anche se c’è ancora moltissimo da fare”.